giovedì 1 marzo 2012

Chi era l'Ambrosiaster ?

Chi era l’Ambrosiaster
1Nascita del Nome Ambrosiaster
Ambrosiaster è il nome latino di Ambrosiastro, un po’ come figliastro ,cioè un Ambrogio fasullo ,un Ambrogio figliastro,uno pseudo Ambrogio, che ha scritto verso la fine del IV secolo un commento,in latino, al testo latino delle tredici lettere di Paolo, cioè ha escluso la lettera“ agli Ebrei” considerandola evidentemente non di Paolo. La sua opera si chiama: Commentaria in xiii Epistolas beati Pauli,.e fino al sedicesimo secolo è stata attribuita a Ambrogio da Milano e pubblicata sempre sotto il suo nome. Notiamo, subito, che il testo latino delle lettere,riportato da Ambrosiaster non è la Vulgata di Gerolamo ma un testo vicino alla “Vetus Itala” . Il Codex Cassinensis, mostra che il commentario era conosciuto da prima del 570CE.
In effetti vi sono molte ragioni contro l’attribuzione, del commentario, ad Ambrogio :lo stile ,la versione della Scrittura usata,l’opinione sull’autore della lettera agli Ebrei e la sua attitudine verso la letteratura Greca .
.Il commento è”. breve ma ponderoso", infatti Sisto da Siena (Sixtus Senensis),esegeta biblico e orientalista 1520-1569. dice, in merito, “ breves quidem in verbis sed sententiae pondere graves” Il commentario, per lungo tempo, è stato attribuito,come già detto, a Ambrogio da Milano, ed è di grande importanza per la studio critico del testo latino del Nuovo Testamento. Pare inoltre che il nome Ambrosiaster sia stato data, all’autore del commentario, da Erasmo di Rotterdam che, per primo. espresse dei dubbi sulla sua identificazione con Ambrogio, ed è stato usato per la prima volta in una edizione dei Commentaria fatta dai Benedettini. (1686-1690)..

2 L’autore riporta, generalmente un versetto di una lettera di Paolo,a volte anche due o tre, e li commenta con uno scritto che è lungo due o tre volte il testo riportato, non abbandonando mai il testo con lunghe digressioni..Egli è uno scrittore ortodosso e Trinitariano, con l’eccezione della sua credenza nel “millennio” e,nei suoi commenti,. rifiuta praticamente tutte le eresie del suo tempo. Si dimostra conoscitore delle Scritture e della letteratura apocrifa ma non sembra conoscere bene il Greco .in quanto le sue referenze ai Greci sono rarissime. Sembra che abbia conosciuto ed usato i prologhi Marcioniti delle lettere di Paolo perché riporta, all’inizio di ogni lettera, dei prologhi simili, sebbene notevolmente più lunghi, in cui spiega le ragioni della lettera Molti dei suoi commenti finiscono con massime morali che somma rizzano i principi che sembrano adatti al messaggio ed è probabile che egli esercitasse una regolare predicazione ed un insegnamento .Può essere che abbia scelto di rimanere anonimo deliberatamente. Per evitare le controversie non gradite che i suoi scritti avrebbero potuto generare Molto probabilmente egli non fu uno studioso biblico nel senso più profondo della parola ,per quanto fosse a conoscenza della conoscenza della tradizione dei diversi manoscritti ed occasionalmente si prova a ricostruire quello che avrebbe potuto essere il testo originale di Paolo vedi ad esempio i suoi commenti su Romani 5:14 .
In quanto alla data in cui il commentari furono scritti ,vi sono molte indicazioni che suggeriscono,come abbiamo già detto l’ultima parte del IV secolo . . Delle eresie o sette alle quali si riferisce, nessuna è susseguente a quel periodo. Egli parla dei Marcioniti come sul punto della loro estinzione ("quamvis pene defecerint," in Ep. ad Timoeo I. iv. 1). .La persecuzione dell’Imperatore Giuliano (361-363) è rammentata come un avvenimento recente . Finalmente Papa Damaso (366-384) è menzionato come attualmente in cattedra (ecclesia . . . cuius hodie rector est ) per i destini della Chiesa. La data che viene suggerita da tutte queste indicazioni è dunque la tarda seconda metà del IV.secolo; per quanto sia piuttosto sorprendente che Girolamo nel suo trattato de Scriptoribus Ecclesiasticis non menzioni nessun altro, fra i commentatori di Paolo, che Victorinus. Sembra quasi certo che lo scrittore vivesse in Roma ,ma ci sono evidenze per suoi spostamenti in altre parti d’Italia ed in Spagna,la sua referenza alla primato di Pietro e al potere detenuto da papa Damaso, suggerirebbe questa idea sulla sua residenza abituale e, forse, può avere,allora, conosciuto il presbitero Gerolamo, nella sua diatriba con Elvidio sulla verginità perpetua di Maria ..Infatti J.B Lightfoot nel suo “The Brethren of Jesus” lo cita chiamandolo “ Ambrosian Hilary “ e riportando una sua traduzione di un pezzo del commento a Galati 1:19 come di seguito:
‘The Lord is called the brother of James and the rest in the same way in which He is also designated the son of Joseph. For some in a fit of madness impiously assert and contend that these were true brothers of the Lord, being sons of Mary, allowing at the same time that Joseph, though not His true father, was so called nevertheless.” Il Signore è chiamato il fratello di Giacomo e del resto,nello stesso modo in cui è anche indicato come figlio di Giuseppe .Perché, alcuni, in un rigurgito di pazzia, in modo blasfemo, asseriscono e contendono che questi erano veri fratelli del Signore,essendo figli di Maria ,ammettendo, nello stesso tempo, che Giuseppe , per quanto non Suo vero padre, era tuttavia,così chiamato”
Questo dimostra che Ambrosiaster rigettava le teorie di Elvidio ma ,allo stesso tempo, non sembra un seguace della ipotesi di Gerolamo dei “cugini” che forse,quando Ambrosiaster scriveva il suo commento, aveva già espresso scrivendo la sua De Virginitate B Mariae.Il testo originale del commento è riportato sotto
L’autore ,nel commentario, rimarca ripetutamente che le Istituzioni della Chiesa hanno subito essenziali alterazioni dal periodo Apostolico. Di grande interesse sono le sue osservazioni sulla organizzazione primitiva ,che egli considera essere stata molto informale , tutti gli insegnamenti e battesimi offerti come occasioni . Egli pensa che le istituzioni primitive erano modellate sulle sinagoghe ,che i presbiteri ed i vescovi erano originalmente gli stessi come. Fondamentalmente, erano ancora al suo tempo ; che la Chiesa Romana fu fondata non dagli Apostoli ma da certi Giudei Cristiani che le imposero una forma Giudaica che poi fu corretta da persone,più informate, arrivate più tardi ; che non soltanto Pietro ma anche Paolo avevano il primato . In un manoscritto intorno al 769 di un certo Winitharius, un monaco di S. Gallo, e altri posti , viene nominato Origene come l’autore del commentario, il che è spiegabile proprio dalla presenza di idee Origeniste Come si ripete, egli non ha usato la vulgata,cioè il risultato del grande lavoro di Gerolamo, né fa nessun commento quando il testo da lui impiegato differisce dalla Vulgata ,così che possiamo ritenere che probabilmente il suo lavoro fu finito quando ancora la Vulgata non era in circolazione .
Non si fa ,d’altronde,alcuna menzione del decreto con il quale la religione Cristiana diventava religione di stato(27 Febbraio , 380) o del I concilio di Costantinopoli che si tenne nel 381 CE. La impressione che si ha è che l’ortodossia di Nicene stesse ancora lottando contro I suoi vari nemici ,pagani ,Giudei ed eretici. Probabilmente il lavoro prese diversi anni e, quindi, possiamo pensare che fosse ancora in esecuzione negli anni 370 . Le recensioni che ci sono giunte non gettano nessuna luce sul problema, il che fa pensare che si susseguissero subito, una dietro l’altra, dal lavoro originale .Alcune evidenze che trattano di punti disputati nella Bibbia nelle Questiones ( ammesso che questo lavoro sia effettivamente suo) possono suggerire che Ambrosiaster fosse ancora vivo nel 384. Quello che è invece certo, è che, alla fine del IV secolo, i commentaria di Ambrosiaster erano diventati un lavoro standard per gli studi biblici latini e che mantenne la sua influenza anche dopo la pubblicazione della Vulgata di Gerolamo .

3 L’identità di Ambrosiater
L’identificazione di Ambrosiaster non si è rivelata, in vero, molto facile . Durante tutto il Medio Evo, il commentario fu attribuito ad Ambrogio da Milano ed il primo dubbio su questa identità fu posto,come già accennato, da Erasmo di Rotterdam nel 1527 , per questo motivo ,da quel tempo ci si riferisce all'anonimo autore come Ambrosiaster. La sola dichiarazione positiva ed utile sulla identificazione di Ambrosiaster ci viene dal seguente passaggio di Agostino ,in Contra duas Epistolas Pelagianorum, lib. iv. c. 7: "Nam et sic sanctus Hilarius intellexit quod scriptum est, in quo omnes peccaverunt: ait enim, 'In quo, id est in Adam omnes peccaverunt.' Deinde addidit: 'Manifestum est in Adam omnes peccasse quasi in massâ; ipse enim per peccatum corruptus, quos genuit omnes nati sunt sub peccato.' Haec scribens Hilarius sine ambiguitate commonuit, quomodo intelligendum esset, in quo omnes peccaverunt." Dato che le parole citate sono contenute nei Commentaria in Romani versetto 12 , si può ragionevolmente supporre che la dichiarazione si riferisca ai Commentaria e che Agostino fosse convinto che l’autore sia un Ilario. Delle persone di quel nome, nelle sue opere, Agostino rammenta solamente Ilario di Sardegna , diacono della Chiesa Romana , mandato da papa Liberio, nel 354, dall’imperatore Costanzo dopo il sinodo di Arles
E’ possibile o forse probabile,come dice A.Souter , che Cassiadoro circa un secolo e mezzo dopo, alluda ai Commentaria come ad un lavoro che egli aveva vanamente cercato. Le sue parole sono:
'dicitur etiam beatum Ambrosium subnotatum codicem epistularum omnium ncti Pauli reliquisse, suauissima expositione completum ; quern amen adhuc inuenire non potui, sed diligenti cura perquiro/
.Poiché,allora, Agostino d'Ippona cita parte del commentario dell'Ambrosiaster sulla Lettera ai Romani come del "Sanctus Hilarius", l'opera è stata, di volta in volta, attribuita da vari studiosi a qualsiasi personaggio che,in quell’epoca, si chiamasse Ilario. Infatti l’opera fu attribuita a Ilario di Poitiers ,Ilario di Pavia e allo scismatico diacono Ilario di Roma un partigiano di Lucifero di Calaris, cioè l’Ilario rammentato da Agostino, ma, riguardo a questo . Dyonisius Petavius,gesuita, ed altri, hanno obbiettato che Agostino difficilmente avrebbe chiamato santo uno che era colpevole di scisma. . Altri hanno ricercato lo scrittore in S. Remigio,nel Pelagiano Vescovo Giuliano,. nell’ ‘africano scrittore Ticonius, nel prete scismatico Faustino di Roma, l’oppositore di papa Damaso ed autore di un trattato sulla Trinità,o,con più forza ed argomentazioni, nel convertito Giudeo Isacco di Roma; infatti nel 1899 Dom Morin (Revue d’histoire et de littérature religieuse) suggerì come autore Isaac il Giudeo, un convertito, che accusò papa Damaso di un delitto capitale e che gli amici del papa dissero che era tornado al Giudaismo e “profanato i misteri Cristiani” (382 C.E.).. La gran parte di queste attribuzioni sono mere congetture, direttamente in contrasto con i fatti conosciuti su questo autore. Una opinione più recente è che l’autore dei commentaria sulle lettere di Paolo sia anche l’autore delle pseudo Agostiniane "Quaestiones Veteris et Novi Testamenti" ma tale opinione non riceve, anche attualmente, un consenso unanime. Almeno secondo il suggerimento dato da Dom Germain Morin, O.S.B., e accolto da Alessandro Souter , l’autore di questi commentari sarebbe stato un distinto uomo di legge di rango consolare , e di nome Decimo Ilariano Ilario. Proconsole dell'Africa del Nord nel 377 CE Notiamo che il Morin,come abbiamo visto, aveva prima patrocinato l’attribuzione dei Commentari ad Isacco di Roma
Alessandro. Souter (prima del Caius College, Cambridge, poi professore al Mansfield College, Oxford), in un articolo nel Sitzungsberichte della Accademiia di Vienna, 1904, e nel suo A Study of Ambrosiaster (TS, vol. vii., No. 4, 1905) adottò la seconda ipotesi del Morin , e con un esaustivo studio dei manoscritti e paragoni dei lavori di Ambrosiaster con scritti contemporanei, concluse che questa ipotesi “del tutto soddisfaceva le condizioni del problema ,” e consigliò coloro che erano inclini a differenti ipotesi a “leggere i lavori dell’autore molto attentamente nella uscente edizione di Vienna [parte della quale era edita da lui stesso] prima di arrivare a una conclusione sul soggetto.” C. H. Turner, fellow del Magdalen College, Oxford, espresse invece una accorata approvazione della prima ipotesi del Morin ( Isacco di Roma) e in un articolo in JTS (Apr., 1906, pp. 355 sqq.), rifiutò di essere convinto dagli argomenti del Morin del Soter che Decimo Ilarianus Ilario piuttosto che Isacco, avesse scritto i Commentaria e le “Questioni.”
Il millenarismo dello scrittore ,la straordinaria familiarità con la storia ed i costumi Giudaici , e pur essendo poco favorevole alla teoria per la quale libri con attitudine benevola verso il Giudaismo potessero, per questa cosa, essere stati scritti da Isacco, era tuttavia fortemente nemico della teoria che l’ufficiale Decimius Hilarianus Hilarius ne fosse l’autore . Favorevoli alla paternità di Isacco sono le allusioni di Gerolamo sui punti di vista sulle genealogie, ad un certo insegnante Giudeo il cui nome egli non degna di menzione ,punti di vista che sono identici a quelli dell’Ambrosiaster Un giovane studioso Cattolico Romano Joseph Wittig, ha più recentemente tirato fuori di nuovo l’ipotesi di Isacco e ha richiamato l’attenzione sul fatto che sia Isacco che Ilario significano “ridente “ come un mezzo per spiegare l’assegnazione dei commentaria ad un Ilario da parte di Agostino.Scrittori recenti (Harnack, Jülicher, Morin, Souter, Turner, ed altri ) hanno aderito all’idea di attribuire i Commentaria e le Questiones allo stesso autore . I Commentaria come il più antico commentario sulle epistole Paoline e le Quæstiones come “il più antico significativo libro sulle difficoltà della Bibbia,” e questo è di importanza considerevole . Jülicher poi dichiara i Commentaria “ il miglior commentario scritto sulle Epistole Paoline prima del sedicesimo secolo ,” e Harnack ne è egualmente uno stimatore. Anche altri lavori esistenti oggi sono attribuiti allo stesso autore.
D’altra parte,in ultimo,. non può essere neppure scartata definitivamente la remota possibilità che Ambrogio abbia scritto l'opera, i commentaria, prima di diventare vescovo, e che poi l'abbia integrata negli anni successivi, incorporandovi le osservazioni di Ilario di Poitiers sulla Lettera ai Romani. La paternità di Ambrogio da Milano è stata sostenuta da P.A. Ballerini nella sua edizione integrale delle opere di Ambrogio..


4 Lo scritto di Ambrosiaster
. Generalmente il tono dello scritto di Ambrosiaster è quello di un campo spassionato ricercatore della verità piuttosto che di un mistico visionario che cerchi di volare in alto verso le altezze del pensiero degli Apostoli .Qui non abbiamo niente di una visione spirituale di un Agostino o del luterano J.A. Bengel,ma abbiamo il lavoro di uno scrittore coscienzioso che cerca nella Scrittura per scrivere chiare lezioni che passano servire ad elevare la vita quotidiana dei suoi concittadini Romani Cristiani.L’autore non perde mai il suo contatto con la vita ordinaria di tutti i giorni . L’imperatore, i magistrati,la legge , sempre presenti agli occhi e alle menti dei suoi possibili ,sono costantemente menzionati ed illustrati .Certo il lavoro è inteso per i Cristiani e per i Cristiani ortodossi . Gli errori eretici della sua epoca sono ,di tanto in tanto, rammentati e stigmatizzati .Tutto quello che scrive è il frutto di un desiderio ,primo quello di interpretare il più chiaramente possibile il significato delle parole dell’Apostolo e secondo quello di rafforzare la lezione che egli crede che l’Apostolo dia .a questo scopo mi sembra istruttivo riportare i seguenti esempi:.
Le donne sono inferiori
su 1 Timoteo 3,11Allo stesso modo le donne siano dignitose, non pettegole, sobrie, fedeli in tutto.

“Perché l’Apostolo vuole solamente che sia creato un vescovo santo ,come così un diacono , egli per questa ragione non vuole che il popolo sia differente....
Quindi egli vuole anche che le donne, che sono manifestamente inferiori , siano senza colpa , in modo che la chiesa di Dio sia pura . Ma i Catafrigi, cadendo in errore ,contendono questo con vana presunzione ,perché l’Apostolo ,dopo essersi indirizzato ai diaconi,parla alle donne ,, anche queste possono essere ordinate diaconi , sebbene esse sappiano che gli Apostoli scelsero sette diacono maschi .Perché a quel tempo non vi era una donna adatta ,poiché sotto gli undici Apostoli noi leggiamo che vi erano sante donne?
Gli eretici similmente vogliono supportare le loro intenzioni con le parole della legge ,piuttosto che con il loro significato . Questo è perché, attraverso le parole dell’Apostolo cercano di contraddire il significato dell’Apostolo . E sebbene egli ordini alle donne di mantenere il silenzio in chiesa ,essi tentano, al contrario, di rivendicare l’autorità del loro ministero.”

I diritti degli uomini e delle donne non sono uguali
In 1 Corinzi 7,10-11. Agli sposati poi ordino, non io, ma il Signore: la moglie non si separi dal marito - 11 e qualora si separi, rimanga senza sposarsi o si riconcili con il marito - e il marito non ripudi la moglie..
“ Una donna non può lasciare suo marito ,se lei lo ha lasciato ,lei non può rimaritarsi .’ Questo è il consiglio dell’Apostolo che ,se lei ha lasciato il marito a causa del suo malvagio comportamento ,rimanga non sposata. ‘Oppure si dovrebbe riconciliare con suo marito ,nel causo in cui non potesse contenere se stessa , perché non vuole combattere contro la carne ,perché non è permesso ad una donna di maritarsi di nuovo se avrà divorziato da suo marito a causa delle sue fornicazioni e apostasie . . . . .
Se tuttavia ,l’uomo è diventato un apostata e cerchi di cambiare le usanze di sua moglie , la donna non può né sposare un altro,né tornare da lui ‘E il marito non può divorziare da sua moglie ‘ Si capisce a meno del caso di fornicazione . E dunque l’Apostolo non aggiunge , come nel caso della donna , che egli debba rimanere come egli è quando abbia divorziato da lei . Perché un uomo è autorizzato a prendere una nuova moglie se egli ha divorziato dalla sua che ha peccato ,dato che un uomo non è costretto dalla legge ,come la donna,perché egli è il capo di sua moglie .”

Le donne non sono state create ad immagine di Dio
Su 1 Corinzi 14, 34. Come in tutte le comunità dei fedeli, le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la legge.
“ Le donne debbono coprire le loro teste perché loro non sono create ad immagine di Dio .Debbono far questo come segno di sottomissione all’autorità e perché il peccato venne nel mondo attraverso loro.. Le loro teste debbono essere coperte in chiesa in onore del vescovo nella stessa maniera loro non hanno l’autorità di parlare perché il vescovo è l’incarnazione di Cristo . Loro allora debbono comportarsi davanti al vescovo come si comporterebbero davanti al Cristo ,il giudice,dato che il vescovo rappresenta il Signore . A causa del peccato originale devono mostrarsi sottomesse.”
“Come può qualcheduno sostenere che la donna sia a somiglianza di Cristo quando si mostra soggetta al dominio dell’uomo e non ha nessun tipo di autorità? Perché non può né insegnare,né essere un testimone in una corte né esercitare i diritti di un cittadino ,nemmeno essere un giudice od esercitare potere”

Tutte le verità provengono dallo Spirito Santo
“Qualunque cosa sia vera ,proviene dallo Spirito Santo ,a prescindere da chi esprime questa verità.”
‘Omne verum, a quocumque dicitur, a Spiritu Sancto est




5 Conclusioni
AMBROSIASTER È LO SCRITTORE DEI COMMENTARIA IN XIII EPISTOLAS BEATI PAULI
SI SA PER CERTO CHE AMBROSIASTER NON FU AMBROGIO DA MILANO, MA NON SI SA,PER CERTO, CHI EFFETTIVAMENTE FOSSE.
QUESTO È QUELLO CHE SCATURISCE,ALMENO SINO AD ORA, DALL’ATTENTO ESAME DELLE POSSIBILI REFERENZE!
Oltre ai Commentaria, gli sono stati attribuiti altri lavori e, principalmente, le Questiones Veteris et Novi Testamenti, prima ritenute di Agostino, ma su quest’ultimo lavoro, la cui paternità ad Ambrosiaster è fortemente patrocinata da A.Souter, non tutti sono d’accordo .I Commentaria costituiscono anche adesso un ottimo commentario sulle lettere di Paolo e,almeno sino al sedicesimo secolo, sono stati uno dei migliori commentari esistenti,a noi noti . Il commentario sembra essere per la maggior parte,se non interamente,originale. Sarebbe però sbagliato credere che questo sia perché nel suo scritto l’autore,chiunque esso sia, non si riferisce o per nomi od in termini generali a commentatori precedenti, perché gli scrittori antichi ,come regola erano,come regola, bravissimi nel’intrecciare il lavoro dei loro predecessori con il proprio che le suture sono molto difficili as essere scoperte. Inoltre con loro era molto importante la materia ,mentre l’aggiudicare le particolari opinioni impiegate, ai loro autori era una considerazione secondaria.. Ma qui vi è una indipendenza ed una uniformità sui commenti che portano a pensare immediatamente alla originalità . L’antagonismo manifesto dell’autore verso i greci fa si che sia improbabile che usasse fonti di questa lingue e per gli autori Latini il solo commentatore di lettere Paolini esistente prima di lui è,per quanto sappiamo,solamente Mario Vittorino le cui opinioni sono così differenti in carattere con quelle di Ambrosiaster che è sommamente improbabile che quest’ultimo le abbia usate. Quindi, come dice A.Souter “. We shall probably be right in
thinking that the commentary drew but little directly from earlier authors “ Saremo probabilmente nel giusto pensando che il commentario abbia attinto anche poco dagli autori precedenti”























martedì 6 dicembre 2011

Chi ha scritto il Libro dell'Apocalisse e Quando fu Scritto

Chi ha Scritto il Libro dell’Apocalisse di Giovanni e Quando fu Scritto?

1 Quello che ci dice il libro

La prima cosa che si può notare leggendo il libro di Rivelazione, è che l’autore dice di chiamarsi Giovanni, ma non specifica chiaramente di essere Giovanni il figlio di Zebedeo, Apostolo di Gesù Cristo, oppure un altro Giovanni discepolo o meno dell’Apostolo stesso . Il nome Giovanni (Greco Ioannes; Ebraico Yohanan) era comune fra gli Ebrei del dopo esilio e, di conseguenza, fra i primi Cristiani (Swete 1909: The Apocalypse of St John ). Inoltre l’autore di Rivelazione non dice mai di essere un Apostolo o un discepolo di Gesù. Nella visione della Nuova Gerusalemme ,i dodici nomi dei dodici Apostoli dell’Agnello, si dice che siano scritti nelle dodici fondamenta delle mura della città (21:14). La implicazione sembra essere che la Chiesa, al tempo dell’autore, considerava la nuova Gerusalemme come la controparte terrena della Gerusalemme celeste . L’interpretazione delle fondamenta della città con i dodici Apostoli è caratteristica di un’epoca nella quale l’età Apostolica era considerata passata . Risulta molto difficile ritenere che un Apostolo potesse scrivere una cosa simile. Ap 21:14 ha molto in comune con Efesini 2,20 che da molti è considerata Post Paolina piuttosto che con la sicuramente Paolina 1 Cor 3:10–15. La conclusione dell’evidenza interna condurrebbe quindi a dire che l’autore sia un uomo di nome Giovanni,che al momento si trovava nell’isola di Patmos perché perseguitato per la sua testimonianza di Gesù Cristo, sicuramente molto autorevole a quel tempo presso le chiese di Asia e profondo conoscitore delle stesse e talmente conosciuto da bastare al lettore del tempo il nome Giovanni per essere identificato, ma completamente sconosciuto a noi (Per una più dettagliata discussione, vedi Adela Yarbro Collins Reading the Book of Revelation 1984: 25–34).

2 L’Evidenza Esterna

2.1L’evidenza esterna è invece molto forte a favore della paternità di Giovanni l’Apostolo

Nei Padri Apostolici vi sono probabili tracce dell’influenza del libro di Rivelazione che indicano la sua autorità nella chiesa della seconda metà del I secolo e la prima metà del II secolo : Erma. Vis. 1.1.3 and Rev 17:3; Erma. Vis 2.2.7; 4.2.5.; 4.3.6. and Rev 3:10 ("l’ora che sta per venire"); 7:14 ("la grande tribolazione"); Barnaba. 7:9 e Rev 1:7, 9; 21:3 e Rev 22:10, 12). Questo è consistente con l’assunzione della paternità di Giovanni Apostolo riconosciuta da quegli scrittori..

Prima del III secolo ,infatti, nessuno degli scrittori Cristiani contestò la paternità di Giovanni l’Apostolo, infatti la prima testimonianza esplicita , che abbiamo , relativa all’autore dell’Apocalisse, è del filosofo Giustino, che visse a Efeso verso il 132 CE, dove scrisse e ambientò il Dialogo con Trifone, primo saggio di ermeneutica cristiana delle Scritture. In questa opera, rispondendo all’ebreo Trifone, suo fittizio interlocutore,a proposito della ricostruzione di Gerusalemme e del millenarismo, Giustino porta la documentazione dell’Antico Testamento, citando Is 65,17-25, e aggiunge la testimonianza dell’Apocalisse: «D’altra parte anche da noi un uomo di nome Giovanni, uno degli apostoli del Cristo, in seguito a una rivelazione da lui avuta, ha profetizzato che coloro che credono nel nostro Cristo avrebbero trascorso mille anni in Gerusalemme...» (Dialogo, 81,4). Il dato è importante, perché l’informatore è attento e molto documentato:e siamo appena una trentina di anni dopo la composizione dell’opera, e nello stesso ambiente d’origine, Giustino ha riconosciuto l’Apocalisse come opera di uno degli apostoli del Cristo. È un dato non desunto dal testo stesso, ma proveniente,quindi, dalla ancora viva tradizione orale che.lo.accompagnava..
Testimone di questa viva tradizione è anche il vescovo Ireneo, originario dell’Asia Minore e discepolo dell’anziano Policarpo vescovo di Smirne, una delle sette città dell’Apocalisse (2,8): la familiarità con Policarpo,che era stato allievo di Giovanni, consentiva a Ireneo di risalire direttamente alla sorgente della tradizione apostolica, giacché Policarpo «fu istruito dagli apostoli e da essi fu posto per l’Asia nella Chiesa di Smirne come vescovo» ed ebbe strette relazioni «con Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore e ricordava le loro parole e quel che aveva sentito raccontare da loro a proposito del Signore»
Papia accettava l’autorità del libro di Rivelazione e ne traeva la credenza del milleranismo (S.E. 3.39), Teofilo, vescovo di Antiochia, citò da Rivelazione in un trattato composto contro Ermogene (S.E. 4.24). In Asia, Melito, vescovo di Sardi, una delle sette chiese dell’Apocalisse , riconobbe la Rivelazione di Giovanni e scrisse un commentario su di essa(Eusebio, Storia Ecclesiastica IV.26,2).La Vetus Itala, la traduzione latina standard prima di Gerolamo, conteneva l’Apocalisse Una testimonianza indiretta di Papia la abbiamo anche da Andrea vescovo di Cesarea, nel VI secolo, che un prologo ad un suo commento all’Apocalisse dice che ..Nella sua grande opera contro la falsa gnosi, e le altre eresie “ Adversus Haereses “composta verso il 180, Ireneo cita ripetutamente l’Apocalisse e in alcuni casi dice qualcosa anche dell’autore: «Anche Giovanni, il discepolo del Signore, vedendo nell’Apocalisse la venuta sacerdotale e gloriosa del suo regno... Degli ultimi tempi […] ha parlato ancora più chiaramente Giovanni, il discepolo del Signore, nell’Apocalisse, indicando quali sono i dieci corni visti da Daniele...» (Contro le eresie, IV, 20,11; V, 26,1). Con lo stesso titolo discepolo del Signore Ireneo qualifica anche Giovanni apostolo ed evangelista, quando parla dell’autore del Quarto Vangelo: è chiaro così che egli, ben informato sulla situazione della Chiesa d’Asia, identificava l’autore dell’Apocalisse con l’autore del Vangelo e lo riconosceva ,al di là di ogni dubbio e incertezza ,come l’apostolo.Giovanni.
Anche la scuola alessandrina è testimone di questa tradizione: Clemente Alessandrino (150-215) considera l’Apocalisse uno scritto apostolico e conserva alcune interessanti tradizioni sulla figura di Giovanni; anche Origene (185-254) parla dell’Apocalisse come opera dell’apostolo Giovanni e non sembra conoscere alcuna obiezione su questo punto.
Ippolito Romano (170-235 CE.) anche attribuisce Rivelazione a Giovanni l’Apostolo e discepolo del Signore , egli cita estesamente da Rivelazione capitoli 17 e 18 e fu autore di un commento sull’Apocalisse andato perduto,. Lo stesso affermano gli scrittori latini. Tertulliano (II-III sec.) difende l’autenticità dell’Apocalisse contro Marcione che la contestava e l’escludeva dal suo canone; ( ma Marcione escludeva tutti a meno di Luca e Paolo!);Cipriano, vescovo di Cartagine (249-258), conferma la medesima opinione, come pure il frammentario Canone Muratoriano, scritto a Roma verso la fine del II secolo. forse composto, come si pensa attualmente, dallo stesso Ippolito Romano che dice:

"Noi accettiamo solamente le apocalissi di Giovanni e di Pietro” Intendendo evidentemente con Giovanni, Giovanni l’Evangelista e Apostolo."
La comune diffusione dell’Apocalisse nei primi tre secoli e la concorde accettazione di quest’opera da parte di insigni rappresentanti della Chiesa antica costituiscono dunque ,un dato importante anche per la questione della sua canonicità.

2.2 Ci sono ,però,nell’antichità anche opinioni diverse.

Intanto possiamo dire che fino al V secolo la Chiese di Siria,Cappadocia e Palestina non inserirono il libro di Rivelazione nel Canone Cristiano, il che significa che,almeno nelle Chiese di Oriente non tutti erano d’accordo sulla attribuzione del libro a Giovanni di Zebedeo.

Quando l’Agnello sciolse il Primo

La prima opinione discorde risulta quella di Gaio, presbitero e scrittore romano, vissuto fra il II eil III secolo. Egli scrisse un’opera contro il montanista Proclo e considerò non giovannei il Quarto Vangelo e l’Apocalisse, attribuendoli all’eretico Cerinto. Scrive Eusebio: «Sappiamo che in questo tempo sorse l’autore di una nuova eresia, Cerinto. Gaio, da noi sopra già citato, così scrive di lui nella sua Ricerca: “Cerinto, per mezzo di rivelazioni (apokalypseon) come scritte da un grande apostolo, mentendo ci racconta cose strabilianti come se gli fossero state manifestate da angeli. Sostiene che dopo la risurrezione ci sarà il regno terrestre di Cristo e che gli uomini, redivivi nei loro corpi, soggiorneranno a Gerusalemme, schiavi delle passioni e delle voluttà. E in aperta opposizione con le divine Scritture, con la volontà di ingannare, aggiunge che ci sarà un millennio di feste nuziali”» (St.Eccl., III, 28,1-2).
Secondo Eusebio, che non riporta la notizia dell’opposizione al Quarto Vangelo, Gaio fu ortodosso; secondo Dionigi invece fu un eretico. Dionigi, infatti, conserva anche alcuni brani di uno scritto di Ippolito (Capitoli contro Gaio), in cui si chiarisce che le obiezioni di Gaio all’Apocalisse riguardavano presunte contraddizioni di questa rispetto agli scritti paolini. A Gaio, inoltre, vengono abitualmente accostati quelli che Epifanio (Panarion 51) chiama gli Alogi, ovvero gli irragionevoli avversari del Logos, che si opponevano alle opere giovannee in toto e le attribuivano anch’essi a Cerinto.
Sulla stessa linea si colloca Dionigi, vescovo di Alessandria (248-265)che però non attribuì Rivelazione a Cerinto. Secondo notizie riportate da Eusebio, egli compose l’opera Sulle Promesse, per confutare l’insegnamento di Nepote vescovo di Arsinoe che aveva provocato uno scisma in Egitto: la questione riguardava l’interpretazione letterale del millennio e l’Apocalisse ne era il fondamento biblico. Dionigi, dunque, affrontò lo studio dell’Apocalisse in chiave polemica ed Eusebio dedica un intero capitolo per presentare la sua opinione al riguardo: «Più avanti, così parla dell’Apocalisse di Giovanni: “Alcuni di coloro che ci precedettero rigettarono e ripudiarono senz’altro questo libro; lo confutarono capitolo per capitolo, lo dichiararono inintelligibile e sconnesso e con un titolo menzognero. Dicono che non ne è Giovanni l’autore, che non si tratta di una rivelazione, perché questa è celata sotto un velo di ignoranza spesso e oscuro; che non deriva da alcuno degli apostoli né da un santo, né da un membro della Chiesa, ma da Cerinto, il quale ha originato un’eresia che da lui si denomina; ha voluto quindi attribuire la sua invenzione a un nome che le desse credito”» (St.Eccl., VII, 25,1-2).
Forse fa riferimento a Gaio e ai suoi seguaci; in ogni caso li ritiene esagerati e egli invece preferisce seguire una via più moderata. Non rifiuta il valore ispirato del libro e la sua canonicità; ma lo analizza con attenzione, applicando l’acuta critica letteraria della scuola alessandrina. Prosegue infatti: «Io non oso rigettare questo libro, tanto più che molti fratelli ne sono entusiasti. Ben trovo che il pensiero in esso contenuto trascende la forza della mia intelligenza. Ma ciò mi fa congetturare che in ciascuna sua parte sia latente un senso arcano e ammirabile. Del resto, se non comprendo, suppongo che nelle parole ci sia un significato molto profondo» (St.Eccl., VII, 25,4-5).Egli rimarcava lo stile differente dal Vangelo e la mancanza, diciamo cosi,”innaturale” dell’affermazione di Giovanni dell’Apocalisse di essere un apostolo. Dionigi, che aveva studiato sotto Origene, negava anche l’insegnamento letterale del Millennio. L’insegnamento del Millennio era basato sulla interpretazione letterale di Rivelazione (Ap 20:1-7). La scuola Alessandrina, affermando il simbolismo scritturale e l’interpretazione allegorica ,rigettando l’interpretazione letterale del Millennio di Rivelazione., mettendo in forse la paternità di Giovanni l’Apostolo ,rinforzava le sue idee antimillennio .

È chiaro,allora, l’atteggiamento, finemente critico, di chi si oppone a una lettura superficiale e letterale; Dionigi pensava anche ai fondamentalisti del suo tempo che tanti problemi causavano alla sua Chiesa, e voleva invitarli a uno studio serio e approfondito, per poter cogliere il senso profondo e simbolico dell’Apocalisse.
Nella citazione frammentaria del libro Sulle Promesse l’attenzione di Eusebio si concentra poi sulla questione dell’autore dell’Apocalisse e riporta diffusamente l’analisi critica di Dionigi, il quale non nega che l’autore si chiami Giovanni( e come poteva negarlo?) tuttavia trova difficile identificarlo con l’apostolo, autore del Quarto Vangelo e dell’epistola cattolica.la prima Egli afferma espressamente di pensare che non si tratti di uno stesso autore dal carattere dei tre scritti, dalla forma della dizione e dal piano di organizzazione dell’opera.Dice infatti:

“Per riassumere, chiunque esamini le loro caratteristiche generali vedrà inevitabilmente che Vangelo e Epistola hanno un solo e lo stesso colore. Ma non c’è somiglianza o similitudine alcuna tra di loro e l’Apocalisse; non c’è alcun collegamento, nessuna relazione con essi; difficilmente ha una sillaba in comune con loro. Né troveremo alcuna menzione o nozione dell’Apocalisse nell’Epistola (tanto meno nel Vangelo), o dell’Epistola nell’Apocalisse.”

La Bestia dell’Apocalisse

Nessuna notizia storica e nessun dato tradizionale viene citato da Dionigi per accreditare la propria opinione: si tratta, dunque, di un semplice ragionamento ipotetico da studioso, basato su criteri letterari di somiglianza e differenza. Anche la notizia sui due Giovanni sepolti a Efeso è riferita per sentito dire; per inciso gli scavi archeologici finora hanno restituito un’unica tomba. Dionigi non parla di Giovanni il Presbitero; ipotizza semplicemente un altro Giovanni, persona diversa dal Giovanni Apostolo.e.evangelista.
Lo storico Eusebio (265-340) è testimone di qualche incertezza esistente nell’ambiente ecclesiastico,nell’accoglienza dell’Apocalisse come canonica. Quando presenta l’elenco dei libri canonici neotestamentari, fra quelli universalmente riconosciuti (homologoúmena) inserisce l’interessante nota: «Credendolo opportuno si può aggiungere anche l’Apocalisse di Giovanni, su cui si sono pronunciati giudizi diversi»; ma fa lo stesso anche per l’elenco dei libri contestati (nótha): «...e, se si vuole, anche l’Apocalisse di Giovanni, della quale sopra si è osservato che, mentre alcuni la rigettano, altri l’aggiudicano tra gli scritti di riconosciuta canonicità» (Soria Ecclesiastica, III, 25,2.4). Eusebio non sembra però né convinto.né favorevole a questo libro dice infatti . “Alcuni dei nostri predecessori hanno rigettato il libro e lo fecero a pezzi completamente, criticandolo capitolo per capitolo, dichiarandolo inintelligibile e illogico, e il titolo falso. Essi dicono che non è di Giovanni e non è affatto una rivelazione, poiché è pesantemente velato dalla sua spessa cortina di incomprensibilità:
così lontano dall’essere uno degli apostoli, l’autore del libro non era neppure uno dei santi, o un membro della Chiesa, ma Cerinto, il fondatore della setta chiamata Cerinzia dal suo nome…

La lettura dell’opera di Dionigi d’Alessandria deve,inoltre, avergli offerto lo spunto per togliere valore e credibilità all’Apocalisse. Egli poi trova conferma all’ipotesi di Dionigi, negli antichi scritti di Papia di Gerapoli,un uomo antico.come lo chiamava Ireneo, che intorno al 100, scriveva un’opera in cinque libri,oggi perduta, dal titolo Spiegazioni degli Oracoli del Signore. In alcune sue ambigue espressioni Eusebio è convinto, infatti, di poter identificare la figura di un Giovanni il Presbitero: «Così ha conferma quanto sostengono alcuni, che nell’Asia ci furono due personaggi omonimi; esistono tuttora a Efeso due tombe col nome di Giovanni. È necessario por mente a questo particolare, perché, qualora si voglia escludere il primo (Giovanni l’apostolo), è verosimile che fu il secondo (Giovanni il presbitero) ad avere le visioni dell’Apocalisse, attribuite come ispirate, appunto.a Giovanni»(St.Eccl.III,39,6).
L’affermazione è dovuta solamente a Papia,che però era stato compagno di Policarpo che,.a sua volta, era stato discepolo di Giovanni l’Apostolo, ma è presentata come una comoda ipotesi. Se nell’antichità non ebbe fortuna, fu invece accolta favorevolmente da molti critici moderni che danno fiducia alla tradizione antica solo quando fa a loro comodo. Solo pregiudizi dottrinali e questioni letterarie avevano portato,allora, alcuni studiosi antichi a dubitare della paternità apostolica dell’Apocalisse; essi erano circoscritti alla scuola di Antiochia e alla Chiesa di Siria; tutte le altre comunità cristiane, secondo la generale testimonianza dei Padri, greci e latini, attribuivano più o meno pacificamente, l’Apocalisse all’apostolo Giovanni, autore del Quarto Vangelo.Però questo dibattito sull’Apocalisse è un tema piuttosto ricorrente negli scritti Cristiani dopo il III secolo, nei quali un certo numero di padri e dottori ad un certo punto o in un altro esprimono i loro dubbi riguardo all’autenticità non solo dell’Apocalisse ma virtualmente anche di altri testi nel canone

S. Cirillo di Gerusalemme non nomina l’Apoxalisse fra i libri canonici Catechesi IV.33-36);; il libro non e nemmeno è menzionato nella lista del Sinodo di Laodicea, o in quella di Gregorio Nuzianzo. Ma forse il più forte argomento contro la sua paternità Apostolica è dato dalla sua esclusione dalla traduzione Siriana Peshito,..

Il libro dell’Apocalisse fu allora rifiutato da un certo numero di chiese, particolarmente quelle orientali, perché esse dicevano che era un manoscritto spurio compilato da testi molto più antichi. Ma in Occidente la chiesa continuò nella sua tradizione della paternità Apostolica, solamente Girolamo, fu forse influenzato dai dubbi delle chiese Orientali.per quanto in De Viris Illustribus Cap IX attribuisca a Giovanni Evangelista il libro di Rivelazione.

3 Conclusioni sull’Autore

Vidi sette candelabri d’oro

Cosa si può concludere allo stato attuale dei fatti sulla paternità del libro di Rivelazione?

In effetti è difficile arrivare ad una conclusione certa su questo argomento per quanto l’evidenza punti nella direzione di Giovanni l’Apostolo . Il problema maggiore per questa ipotesi sono le profonde differenze stilistiche fra il Quarto Vangelo e le lettere di Giovanni rispetto al testo di Apocalisse .

Ma se non si attribuisce Rivelazione all’Apostolo, chi potrebbe esserne l’autore.

Non prendendo in considerazione un ipotetico Giovanni di Patmos di cui nessuno ha mai sentito parlare e che esiste solamente nella fantasia di qualche moderno, il personaggio di cui abbiamo qualche traccia e che potrebbe avere una minima probabilità di realtà è quello suggerito da Eusebio attraverso Papia, cioè il così chiamato Giovanni il presbitero

Come una possible alternative alla paternità di Giovanni l’Apostolo. Eusebio suggerisce che un altro uomo chiamato Giovanni ,anche lui residente in Efeso forse scrisse il libro di Rivelazione e perché aveva lo stesso nome e visse allo stesso tempo dell’Apostolo Giovanni , a quest’ultimo fu erroneamente accreditata la composizione del libro dell’Apocalisse . Eusebio appoggia la sua ipotesi su due evidenze .

. Papia aveva rammentato due Giovanni uno dei quali era elencato con gli Apostoli , mentre l’altro era chiamato Giovanni il Presbitero ed era elencato fra i discepoli del Signore Ai giorni di Eusebio vi erano due tombe in Efeso ambedue identificate come di Giovanni Nel pensiero di Eusebio questo portava alla conclusione che vi furono due uomini in Efeso con il nome Giovanni: l’Apostolo e il Presbitero (vedi anche Dionigi che conosceva la tradizione delle due tombe di Giovanni e pensava che vi fossero stati due uomini con lo stesso nome [S.E.7.25.15-16]).Eusebio aveva concluso , "Questo richiama l’attenzione che sia probabile che il secondo ( a meno che non si preferisca il primo) vedesse la Rivelazione che passa sotto il nome di Giovanni " (S.E.3.39.6).

Riportiamo per maggior chiarezza l’intero scritto di Eusebio

4. Che se in qualche luogo m’imbattevo in qualcuno che avesse convissuto con i presbiteri, io cercavo di conoscere i discorsi dei presbiteri: che cosa disse Andrea o che cosa Pietro o che cosa Filippo o che cosa Tommaso o Giacomo o che cosa Giovanni o Matteo o alcun altro dei discepoli del Signore; e ciò che dicono Aristione ed il presbitero Giovanni , discepoli del Signore.

Poiché io ero persuaso che ciò che potevo ricavare dai libri non mi avrebbe giovato tanto, quanto quello che udivo dalla viva voce ancora superstite .

5. E qui conviene osservare che Papia pone due volte il nome di Giovanni: il primo [Giovanni] lo annovera con Pietro, Giacomo e Matteo e gli altri Apostoli, ed è evidente che vuole indicare l’Evangelista. Egli poi distingue nella sua esposizione, e colloca il secondo Giovanni tra gli altri che sono fuori del numero degli Apostoli , anteponendo a lui Aristione;

6. e lo chiama espressamente presbitero. Resterebbe quindi confermata l’asserzione di coloro che sostengono che in Asia ci furono due personaggi che portavano questo stesso nome e che in Efeso vi sono due tombe chiamate ambedue ancora oggi di Giovanni. Bisogna fare attenzione a costoro: perché se si esclude il primo, è verosimile che il secondo abbia avuto la rivelazione (Apocalisse), che ci fu tramandata sotto il nome di Giovanni

L’ipotesi di Eusebio appare allora possibile ma non molto probabile senza una ulteriore evidenza .L’ipotesi di Giovanni l’Apostolo resta quindi la più probabile.

4 La Data di Composizione

Una Bestia che aveva dieci corna

4.1. Evidenza interna

Non vi è una esplicita,diretta od indiretta, evidenza interna che possa aiutare la datazione del libro di Rivelazione. L’uso del testo come evidenza interna è reso ancor più problematico in quanto i vari passaggi possono contare come evidenza in un senso o nell’altro a seconda di come vengano interpretati.

Al tempo della composizione del libro dell’Apocalisse , le chiese di Asia erano sottoposte ad una persecuzione,Se si riesce a determinare storicamente questa persecuzione, sarebbe allora facile potere avere un punto fisso per la datazione del libro o perlomeno della scrittura delle lettere alle sette chiese Ap 1:9,2:13,3:10..

Se si adotta un approccio preteristico all’interpretazione del libro di Rivelazione, certi passaggi possono essere presi come chiavi per datare il libro stesso.

A. in Ap 17:9-10: vi è una referenza a sette colli sui quali è adagiata la donna ( Roma)e a sette re dei quali cinque son già passati e il sesto regna .Allora il sesto re.contando da Giulio Cesare risulterebbe Nerone ,contando da Augusto risulterebbe Galba (68).oppure, trascurando i tre imperatori che si erano succeduti in un solo anno, Vespasiano a cui poi sarebbe succeduto Tito, il settimo che sarebbe durato poco

Il settimo che sarebbe durato poco si addice però più a Nerone a cui succedette Galba che in effetti durò solamente sei mesi!

B. Ap 13:8: Il marchio della bestia 666, è la somma dei valori numerici delle lettere Ebraiche usate per la traslitterazione di “ Nerone Cesare (In Ebraico le lettere significano anche numeri)

C. Ap 13:4, 15-16; 14:9-11; 15:2; 16:2; 19:20; 20:4: Che la bestia richieda adorazione e sia adorata dal genere umano sembrerebbe adattarsi a Domiziano infatti sotto il suo regno il culto dell’imperatore Romano fu portato all’estremo"

D Ap 11:2 Il versetto è ambiguo, sembrerebbe riferirsi a prima della distruzione del Tempio di Gerusalemme, ma potrebbe essere anche il contrario.

E Ap 10:11 Qui si dice che chi aveva avuto la visione doveva profetizzare anche su molti popoli,nazioni e lingue e re. Questo si additerebbe poco ad un uomo molto vecchio come sarebbe stato Giovanni l’Apostolo al tempo della fine del regno di Domiziano( questo potrebbe,però, essere anche una evidenza contro la paternità di Giovanni l’Apostolo)

Sembra abbastanza sicuro che la città che è il centro della distruzione descritta nel libro di Rivelazione ,Babilonia, sia in effetti ,l’antica città di Gerusalemme .Infatti.
Giovanni ripetutamente si riferisce a Babilonia come alla “grande città” vedi Ap 14:8; 16:19; 17:5, 18; 18:2, 10, 16, 18, 19 e 21. Inoltre Rivelazione 11:8 identifica "la grande città" come il posto dove nostro Signore fu crocifisso In Geremia 22:8, Gerusalemme è anche chiamata la “grande città”

In senso generale il testo riflette una situazione Cristiana ancora profondamente legata al giudaismo,una situazione che poco o nulla si addice ad un’epoca dopo la distruzione di Gerusalemme e del Tempio nel 70 CE.Anche il mito del Nerone redivivo che sembra trasudare da alcuni capitoli di Rivelazione e che viene portato molte volte,a prova di una datazione del tempo di Domiziano, sembra che fosse già ben stabilito nel 69 CE.

4.2.Evidenza Esterna

I primi scrittori Cristiani datarono la composizione del libro differentemente. Molti lo pongono nel regno di Domiziano (81-96). Ireneo ,il più antico ed affidabile di questi,datò il libro di Rivelazione "verso la fine del regno di Domiziano" (Adv. Haer. 5.30.3) ma lo datò cosi attraverso i discorsi che aveva sentito da giovane, quando

stava in Asia, da Policarpo,Inoltre Ireneo, come dice John Robinson in “ Redating the New Testament “ ha fatto tre affermazioni:

1. che l’autore di Apocalisse e del quarto Vangelo sono la stessa persona;

2. che questa persona è l’Apostolo Giovanni; e

3. che l’Apocalisse fu vista alla fine del regno di Domiziano

Ora risulta difficile accettare in blocco le tre affermazioni ,perché se le prime due sono evidenze forti, la terza è debole e viceversa.In quanto la scrittura di un libro vigoroso come Rivelazione da parte di un ultranonagenario appare poco probabile ,d’altra parte se l’autore aveva alla fine del regno di Domiziano, non più di sessanta-settanta anni, questi non era Giovanni Evangelista.

Le evidenze di; Eusebio, S.E. 3.18, 20; Clemente di Alessandria, Quis div salv?. 42; Origene, Matt. 16.6; Girolamo, De vir. ill. 9) sono comprensibilmente influenzate da Ireneo,anzi Eusebio dice esplicitamente che egli riporta notizie da Ireneo.In particolare, per l’evidenza di Clemente si nota che lui, in effetti, rammenta solamente “il tiranno” come l’imperatore che esiliò Giovanni, lo stesso fa Origene che lo chiama il Re dei Romani ed è Eusebio che attribuisce a questo tiranno o a questo Re ,il nome di Domiziano,invece Vittorino [In Apoc. 10.11.], che antedata Eusebius, dice che Giovanni fu condannato alle miniere in Patmos da Domiziano Cesare,dove vide la sua Apocalisse,che egli pubblicò dopo che fu rilasciato alla morte dell’imperatore.Risulta però difficile pensare un uomo di circa 95 anni (tale doveva essere l’età di Giovanni negli ultimi tempi di Domiziano ) che lavori nelle miniere sotto la sferza degli aguzzini!Sopravviva e scriva l’Apocalisse !

Vi sono tuttavia anche alcune evidenze esterne per la data del regno di Nerone (54-68) Nel lavoro in Siriano Storia di Giovanni figlio di Zebedeo viene detto chiaramente che Giovanni fu bandito a Patos da Nerone Sono esistenti un certo numero di traduzioni in Siriaco del libro di Rivelazione che hanno la seguente iscrizione : "La Rivelazione che fu fatta da Dio a Giovanni Evangelista ,nell’isola di Patmos,, nella quale era stato esiliato da Nerone Imperatore." .Del resto Ireneo stesso, in un’altra parte. Dice:” Come queste cose sono così,e il suo numero [666] è trovato in tutte le copie antiche approvate." L’età di Domiziano poteva difficilmente essere considerata “antica” per Ireneo Inoltre, nel codice Muratoriano che attribuisce,come si è visto, a Giovanni l’Apostolo il libro di Rivelazione, vi è una frase molto ambigua che suona così "Paolo, seguendo l’ordine del proprio predecessore Giovanni, scrive a non più di sette chiese per nome." Le sette chiese a cui Paolo scrisse erano;Roma,Corinto,Galazia ,Efeso ,Filippi,Colossi e Tessalonica. Giovanni nei suoi messaggi scrisse alle sette Chiese come indicate da Rivelazione 1:4. La implicazione di questa affermazione del Codice Muratoriano, potrebbe essere che Giovanni abbia scritto il suo libro PRIMA del completamento delle lettere di Paolo alla sue sette Chiese . Paolo morì durante la persecuzione di Nerone il cui regno terminò nel 68 CE.Vi è anche una interessante affermazione di Clemente di Alessandria in Stromata 7:19 : "Perché l’insegnamento del Signore alla Sua venuta,cominciando con Augusto e Tiberio fu completato nel mezzo del tempo di Tiberio.E quello degli Apostoli abbracciando il ministero di Paolo,finì con Nerone

Quindi Clemente sembra indicare che egli credeva che le Scritture fossero completate al tempo di Nerone. Epifanio, un contemporaneo di Gerolamo,si riferisce all’esilio di Giovanni e alla profezia come essendo avvenuti sotto Claudio Cesare [Haer. 51.12 and 33.] – per quanto sembri implicare che Claudio era imperatore quando Giovanni era molto vecchio! Qualsiasi cosa avesse inteso dire Epifanio, è stato credibilmente argomentato che la sua fonte intendesse Nerone il cui primo nome era appunto Claudio

L’autore del Pastore di Erma sembra aver conosciuto l’Apocalisse, perché nelle sue visioni vi sono molte similarità con quelle dell’Apocalisse. Attualmente vi è una forte convinzione che il Pastore sia stato scritto intorno agli anni ottanta . Quindi la sua conoscenza di Rivelazione è una notevole evidenza per una sua datazione prima del 70 CE .

Tertulliano nel suo Esclusione degli Eretici. suggerisce fortemente che il bando di Giovanni avvenne nello stesso tempo del martirio di Pietro e di Paolo Nel suo Contro Gioviano Gerolamo sembra aver letto la frase di Tertulliano che affermava che l’esilio di Giovanni era stato comandato da Nerone .Lo stesso Eusebio in Dimostrazione Evangelica (3:5) raggruppa in una sola frase che Pietro fu crocifisso a testa in giù,Paolo decapitato e Giovanni bandito in una isola.Nel testo apocrifo gli Atti di Giovanni sembra che Giovanni abbia subito due deportazioni, una sotto Nerone e poi scritto l’Apocalisse ed una sotto Domiziano che però lo bandì solamente e non lo condannò alle miniere,

Aretas di Cesarea,un pupillo di Fozio,scrisse un commentario sull’Apocamisse in cui lui attribuiva al sesto sigillo il significato della distruzione di Gerusalemme e del Tempio da parte dei Romani

.

Vi è evidenza che i Cristiani furono perseguitati sia durante il regno di Nerone che in quello di Domiziano (Domiziano: S.E. 3.17-20; S.E. 4.27.9 [Melito di Sardi]; Nerone: Tacitus Ann. 15.44; 1 Clem. 6.1; Tertulliano, Apol. 5.3; Sulpicius Severus, Chronic. 2.29.3); ma quanto estese siano state queste persecuzioni e, soprattutto, se si siano estese alla provincia di Asia ,è incerto.Inoltre vi è attualmente un notevole consenso a che la persecuzione dei Cristiani di Domiziano sia stata notevolmente esagerata soprattutto da Melito di Sardi per giustificare la sua argomentazione che solamente i cattivi imperatori erano autori di persecuzioni contro i Cristiani.Quindi la vera e terribile persecuzione fu solamente quella di Nerone. Infatti non è che fino ad Orosio,uno storico Cristiano del V secolo, che noi vediamo parlare di una crudelissima persecuzione attraverso tutto il mondo . [Hist. adv. pag. 7. 10.1.] Tertulliano è molto più contenuto:

Amche Domiziano,con una crudeltà condivisa con Nerone,aveva tentato in una occasione di fare lo stesso di Nerone. Ma essendo,come mi immagino,possessore di una certa intelligenza ,egli cessò molto presto e anche richiamò quelli che aveva esiliato . [Apol.5, come citata da Eusebio , SE 3.20.7. Nell’originale Tertulliano ha 'perché egli aveva una certa umanità' (qua et homo).]

Del resto la stesso Eusebio ci racconta che Domiziano, dopo averli interrogati,mando liberi i discendenti di Giuda il fratello del Signore,non riconoscendoli colpevoli di niente.SE 3,20

.

5 Conclusione Finale

Da quanto abbiamo visto e dai dati interni ed esterni riportati, possiamo concludere con le seguenti affermazioni,almeno nella interpretazione di che scrive che non è certamente un biblista ma un semplice dilettante appassionato dell’argomento:

Lo scrittore di Rivelazione è l’Apostolo Giovanni ma come un uomo intorno ai 55¸60 anni e ancora nel pieno vigore delle sue forze

Il luogo di scrittura e la sua data sono probabilmente Efeso,dopo la morte di Nerone ma prima della distruzione di Gerusalemme ,cioè prima del 70 CE

Tutti gli eventi predetti come imminenti nel libro dell’Apocalisse confluiscono nella distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio.e si adempiono con queste.

Gli stessi dati ed evidenze riportati possono forse condurre ad una interpretazione differente, che, però, esula dalla mia comprensione.

REFERENZE

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sabato 12 novembre 2011

IL VANGELO EBRAICO DI MATTEO
1 Introduzione
Vi sono molte testimonianze antiche che Matteo abbia scritto un primo Vangelo in lingua Ebraica
Queste sono, come vedremo più in dettaglio,dovute a;Papia, Ireneo di Lione, Clemente Alessandrino Tertulliano, Origene Panteno, Eusebio di Cesarea, Epifanio di Salamina, Sofronio Eusebio Girolamo.Gli esegeti moderni,nella loro maggioranza, sono restii ad ammettere l’esistenza di questo primo Vangelo perché,la sua esistenza, sconvolgerebbe molte teorie che attualmente vanno di moda e cioè che la data di composizione di Matteo sia molto tarda, praticamente la fine del I secolo, e che la sua composizione sia dovuta ad un Ebreo Cristiano che si sarebbe basato su Marco,Luca ed altre fonti. Questi esegeti liquidano in generale,molto semplicemente, le antiche testimonianze dei primi secoli dicendo che questi autori si riferivano a documenti distinti dal Vangelo di Matteo.Evidentemente l’esistenza di un Vangelo di Matteo scritto entro un decennio dopo la morte di Gesù, farebbe di questo documento il primo scritto Cristiano, anteriore alle prime lettere di Paolo,e manderebbe all’aria la teoria Marciana e le sue conseguenze .Questi esegeti ignorano o trascurano che Panteno abbia trovato in India un Vangelo di Matteo scritto in Ebraico ,portatovi a quanto pare da Bartolomeo, e ne abbia riportato una copia ad Alessandria.Trascurano anche che quello che dice Gerolamo nel capitolo III di De Viris Illustribus, difficilmente può essere interpretato come inerente ad un documento diverso dal Vangelo di Matteo, di cui una copia lui afferma fosse a quel tempo anche nella Biblioteca di Cesarea,formata appunto, da Parteno. Ignorano anche che questo dimostrerebbe che, ai tempi di Gesù. la lingua Ebraica era tutt’altro che dimenticata da gran parte della popolazione giudaica in Palestina. D’altra parte il Matteo in Ebraico del medico Giudeo Spagnolo Shem Tov ben Isaac,del XIV secolo, riportato nella sua opera polemica Eben Bohen ( Pietra di Paragone),sembra proprio che non sia una traduzione, in Ebraico, di un testo di Matteo in Greco di quel tempo, ma ripreso da un manoscritto molto più antico tramandato da scribi Ebrei che avrebbero preservato il Matteo Ebraico sino a Shem Tov seguendo la tradizione degli scribi che richiedeva che facessero certi cambiamenti quando copiavano gli antichi testi Ebraici. Riguardo ai diversi vangeli "in ebraico" citati dalla Patristica, vi è da ritenere che il Vangelo ebraico di Matteo costituisse la base del Vangelo secondo gli Ebrei, di quello usato dai Nazarei e di quello degli Ebioniti. Anch'essi erano scritti in ebraico, però sembra che non fosserp identici al Vangelo di Matteo originario e contenessero qualche aggiunta o modifica per un interesse teologico dei loro redattori. Che alcuni, e in particolare gli Ebioniti, avessero operato modifiche del testo originale è confermato da passi del Vangelo secondo gli Ebrei riportati da Origene e da Girolamo: Tutto ciò potrebbe fare pensare che il motivo principale della mancata trasmissione, del Vangelo Ebraico di Matteo sia proprio il fatto che esso era stato modificato da qualche gruppo eretico, e in particolare dagli Ebioniti per sostenere la loro eresia, e che circolassero quindi diverse versioni modificate. Così, come l'aggiunta di alcuni detti contenenti un'elaborazione teologica, quella gnostica, ha contribuito a farci perdere l'originario Vangelo di Tommaso, così l'aggiunta di alcuni versetti, o di parti di versetti, contenenti un'elaborazione teologica, quella Ebionita, avrebbe contribuito sensibilmente a farci perdere l'originario Vangelo Ebraico di Matteo. Questo è stato, forse, uno dei motivi della traduzione e della redazione del testo greco che poi è entrato nel canone .Sembra quindi utile ed interessante esaminare le fonti che ci provano, a mio parere in modo molto forte, l’esistenza,un tempo, di questo Vangelo.


2 Le Antiche Testimonianze
Non si può sapere se queste referenze Patristiche al Vangelo di Matteo in Ebraico intendano nominare il Vangelo trasmessoci da Shem Tov come del resto non possiamo sapere se invece sia così, in quanto non possediamo per. un paragone, niente del primo.
Papia (circa 70 CE dopo il 130)
Eusebio da Storia Ecclesiastica III.39.16, citando Papia di Gerapoli , Esegesi degli Oracoli del Signore:
Ταυτα μεν ουν ιστορηται τω Παπια περι του Μαρκου· περι δε του Ματθαιου ταυτ ειρηται· Ματθαιος μεν ουν Εβραιδι διαλεκτω τα λογια συνεταξατο, ηρμηνευσεν
δ αυτα ως ην δυνατος εκαστος.
Queste cose,dunque,sono state riportate da Papia su Marco.Ma su Matteo egli dice questo::Matteo allora ordinò i detti del Signore in lingua Ebraica e ciascuno li ha interpretati come era capace .
Ireneo.
Smirne 130 ,Lione 202 CE .
Da Adversus Haeresies 3.1.1, Il Greco è dalla citazione di Eusebio in Storia Ecclesiastica 5.8.2:
Ο μεν δη Ματθαιος εν τοις Εβραιοις τη ιδια αυτων διαλεκτω και γραφην εξηνεγκεν ευαγγελιου του Πετρου και του Παυλου εν Ρωμη ευαγγελιζομενων και θεμελιουντων την εκκλησιαν.
Ita Mattheus in Hebraeis ipsorum lingua scripturam edidit evangelii cum Petrus et Paulus Romae evangelizarent et fundarent ecclesiam.
Così Matteo ,fra gli Ebrei, pubblicò una scrittura del Vangelo nella loro lingua ,quando Pietro e Paolo predicavano il Vangelo e fondavano la Chiesa in Roma.

Origene.
Alessandria 185 Tiro 254 .
Commentario su Matteo come citato da Eusebio in Storia Ecclesiastica 6.25.4:
Ως εν παραδοσει μαθων περι των τεσσαρων ευαγγελιων, α και μονα αναντιρρητα εστιν εν τη υπο τον ουρανον εκκλησια του θεου, οτι πρωτον μεν γεγραπται το κατα τον ποτε τελωνην, υστερον δε αποστολον Ιησου Χριστου Ματθαιον, εκδεδωκοτα αυτο τοις απο Ιουδαισμου πιστευσασιν, γραμμασιν Εβραικοις συντεταγμενον.
Come ho appreso dalla tradizione sui Quattro Vangeli che sono anche i soli indiscussi nella chiesa di Dio sotto il cielo ,per primo fu scritto quello secondo Matteo il quale fu un tempo pubblicano ,ma, più tard,i Apostolo di Gesù Cristo ,Matteo lo pubblicò per quelli provenienti dal Giudaismo che avevano creduto,dopo averlo composto in lingua Ebraica..
Eusebio di Cesarea.
Cesarea (265 340).
Da Storia Ecclesiastica III 24,6
Ματθαῖός τε γὰρ πρότερον Ἑβραίοις κηρύξας, ὡς ἤμελλεν καὶ ἐφ᾿ ἑτέρους ἰέναι, πατρίῳ γλώττῃ γραφῇ παραδοὺς τὸ κατ᾿ αὐτὸν εὐαγγέλιον, τὸ λεῖπον τῇ αὐτοῦ παρουσίᾳ τούτοις ἀφ᾿ ὧν ἐστέλλετο, διὰ τῆς γραφῆς ἀπεπλήρου· ἤδη δὲ Μάρκου καὶ Λουκᾶ τῶν κατ᾿ αὐτοὺς εὐαγγελίων τὴν ἔκδοσιν πεποιημένων,
Matteo,che in primo momento predicò il Vangelo agli Ebrei ,quando stava per andare anche presso altri popoli,compose nella lingua patria il proprio Vangelo,sostituendo con esso la sua presenza presso coloro che lasciava. Si dice che quando Marco e Luca avevano ormai redatto il loro Vangelo… …..
Storia Ecclesiastica V.10.3, scrivendo dei missionari Cristiani:
...ων εις γενομενος και ο Πανταινος, και εις Ινδους ελθειν λεγεται, ενθα λογος ευρειν αυτον προφθασαν την αυτου παρουσιαν το κατα Ματθαιον ευαγγελιον παρα τισιν αυτοθι τον Χριστον επεγνωκοσιν, οις Βαρθολομαιον των αποστολων ενα κηρυξαι αυτοις τε Εβραιων γραμμασι την του Ματθαιου καταλειψαι γραφην, ην και σωζεσθαι εις τον δηλουμενον χρονον.
...ed uno di loro fu Panteno ,e dicono che si recò fra gli Indiani dove,stando a quello che riferisce la tradizione ,dalla testimonianza di alcuni del luogo,che avevano imparato a conoscere Cristo,scoprì che il Vangelo secondo Matteo aveva preceduto la sua venuta fra essi .Infatti aveva predicato Bartolomeo uno degli Apostoli e aveva lasciato loro l’opera di Matteo scritta in Ebraico che essi avevano conservato sino al tempo di cui stiamo parlando

Epifanio (ca. 315-403), Vescovo di Salamina (Cipro) si riferisce ad un Vangelo usato dagli Ebioniti (Panarion 30. 13.1-30.22.4).Egli dice che fosse il Vangelo di Matteo chiamato dagli Ebioniti ,secondo gli Ebrei ,ma dice che era corrotto e mutilato . Egli dice,inoltre, che Matteo pubblicò il suo Vangelo in Ebraico .Egli cita dal Vangelo degli Ebioniti sette volte i ..
Da Epifanio, Panarion 29.9 :
Εχουσι [οι Ναζωραιοι] δε το κατα Ματθαιον ευαγγελιον πληρεστατον Εβραιστι. παρ αυτοις γαρ σαφως τουτο, καθως εξ αρχης εγραφη Εβραικοις γραμμασιν, ετι σωζεται. ουκ οικα δε ει και τας γενεαλογιας τας απο του Αβρααμ αχρι Χριστου περιειλον.
E [I Nazorei] hanno il Vangelo secondo Matteo, completo in Ebraico .Perché fra di loro questo è stato chiaramente conservato proprio come fu scritto sin dal principio in linguaggio Ebraico .Ma io non so se vi sia stata tolta la genealogia da Abramo a Cristo. .
Da Epifanio Panarion 30,3
Και δεχονται μεν και αυτοι το κατα Ματθαιον ευαγγελιον. τουτω γαρ και αυτοι, ως και οι κατα Κηρινθον και Μηρινθον, χρωνται μονω. καλουσι δε αυτο κατα Εβραιους, ως τα αληθη εστιν ειπειν οτι Ματθαιος μονος Εβραιστι και Εβραικοις γραμμασιν εν τη καινη διαθηκη εποιησατο την του ευαγγελιου εκθεσιν τε και κηρυγμα.
E loro stessi anche accettano il Vangelo secondo Matteo.Perché questo lo usano da solo,come quelli di Cerinto e Melinto .Ma loro lo chiamano : secondo gli Ebrei ,dato che è vero dire che il solo Matteo ,nel Nuovo Testamento fece la disposizione e la predicazione del Vangelo e la sua scrittura, in Ebraico





Gerolamo ( Stridone 347 Betlemme 420)
Da Commentario sul Salmo 135:
In Hebraico evangelio secundum Matthaeum ita habet: Panem nostrum crastinum da nobis hodie, hoc est, panem quem daturus es in regno tuo da nobis hodie.
Nel Vangelo in Ebraico secondo Matteo si ha così : dacci oggi il nostro pane per domani ,cioè il pane che ci darai nel Tuo regno dai a noi oggi.

Da De Viris Illustribus Cap 2
………….Evangelium quoque quod appellatur secundum Hebraeos, et a me nuper in Graecum Latinumque sermonem translatum est, quo et Origenes saepe utitur, post resurrectionem Salvatoris refert: Dominus autem cum dedisset sindonem servo Sacerdotis, ivit ad Jacobum, et apparuit ei. Juraverat enim Jacobus, se non comesturum panem ab illa hora qua biberat calicem Domini, donec videret eum resurgentem a dormientibus. Rursusque post paululum: Afferte, ait Dominus, mensam et panem. Statimque additur: Tulit panem et benedixit, ac fregit, et dedit Jacobo justo, et dixit ei: Frater mi, comede panem tuum, quia resurrexit Filius hominis a dormientibus. Triginta itaque annos Hierosolymorum [Al. Hierosolymis] rexit Ecclesiam, id est, usque ad septimum Neronis annum, et juxta templum ubi et praecipitatus fuerat, sepultus est. Titulum usque ad obsidionem Titi, et ultimam Hadriani, notissimum habuit. Quidam e nostris in monte Oliveti eum putaverunt conditum, sed falsa eorum opinio est.
……….Anche il Vangelo che è chiamato il Vangelo degli Ebrei e che io ho recentemente tradotto dal greco in latino e del quale spesso Origene fa uso , dopo il racconto della resurrezione del Salvatore dice , "ma il Signore dopo aver dato i suoi vestiti mortuari al servo del sacerdote, apparve a Giacomo (perché Giacomo aveva giurato che non avrebbe mangiato pane dall’ora nella quale egli bevve la coppa del Signore fino a che non lo avesse visto risorto da quelli che dormono )" e di nuovo poco dopo il Vangelo dice " ' Porta una tavola e del pane, disse il Signore, e poi aggiunge , "Egli prese il pane ,lo benedisse e lo diede a Giacomo il Giusto dicendogli : fratello mio mangia questo pane perché il figlio dell’uomo è risorto da quelli che dormono .'" E così egli governò la chiesa di Gerusalemme trenta anni, cioè sino al settimo anno di Nerone, e fu sepolto vicino al tempio dal quale era stato precipitato . La sua tomba con la sua iscrizione fu ben nota sino all’assedio di Tito ed alla fine del regno di Adriano . Alcuni dei nostri scrittori pensano che sia stato sepolto sul monte Oliveto, ma sbagliano .

Da De Viris Illustribus cap.3:
Matthaeus, qui et Levi, ex publicano apostolus (Matth. IX, 9; Marc. II, 14; Luc. V, 27), primus in Judaea propter eos qui ex circumcisione crediderant, Evangelium Christi Hebraicis litteris verbisque composuit: quod quis postea in Graecum transtulerit, non satis certum est. Porro ipsum Hebraicum habetur usque hodie in Caesariensi bibliotheca, quam Pamphilus martyr studiosissime confecit. Mihi quoque a Nazaraeis, qui in Beroea urbe Syriae hoc volumine utuntur, describendi facultas fuit. In quo animadvertendum, quod ubicumque Evangelista, sive ex persona sua, sive ex persona Domini Salvatoris, veteris Scripturae testimoniis abutitur, non sequatur Septuaginta translatorum auctoritatem, sed Hebraicam, e quibus illa duo sunt: Ex Aegypto vocavi filium meum; et: Quoniam Nazaraeus vocabitur.
Matteo, anche chiamato Levi, apostolo e una volta pubblicano, compose un Vangelo di Cristo pubblicato la prima volta, in Giudea, in ebraico, per l’utilità di quelli della circoncisione che erano credenti, ma questo vangelo fu poi tradotto in Greco ma il suo traduttore è incerto La versione ebraica è stata mantenuta sino ai nostri giorni nella biblioteca di Cesarea che Panfilo radunò così diligentemente Io ho avuto l’opportunità di avere il volume per descriverlo, dai Nazorei di Borea ,città della Siria , che lo usavano . In questo deve essere notato che tutte le volte che l’ Evangelista , sia nel proprio racconto o nella persona del nostro Salvatore, cita la testimonianza dell’Antico Testamento, egli non segue l’autorità della traduzione dei Settanta ma il testo Ebraico .Perciò queste due forme esistono "fuori dall’Egitto io ho chiamato il mio figlio, " e "perché egli sarà chiamato il Nazareno
Queste due referenze a Matteo sono( traduzione CEI)
2.15dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:
Dall’Egitto ho chiamato mio figlio.
2.23 3e andò ad abitare in una città chiamata Nazaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
Anche in altre opere Gerolamo afferma che la prima stesura del Vangelo di Matteo fu in Ebraico Dal Prologo dei Quattro Vangeli
Primus omnium Matthaeus est, publicanus cognomento Levi, qui evangelium in Iudaea Hebreo sermone edidit, ob eorum vel maxime causam qui in Iesum crediderunt ex Iudaeis, et nequaquam legis umbra succendente evangelii vertitatem servabat.
Primo di tutti è Matteo,un pubblicano di nome Levi ,che pubblicò un Vangelo ,in Giudea, in lingua Ebraica ,specialmente dedicato a quelli che avevano creduto in Gesù proveniendo dai Giudei e con l’ombra della Legge che in nessun modo prevaleva,,egli manteneva la verità del Vangelo..
Da l’epistola 20 a Damaso :
Denique Matthaeus, qui evangelium Hebraeo sermone conscripsit, ita posuit: Osanna barrama, id est: Osanna in excelsis.
In ultimo Matteo, che scrisse il Vangelo in Ebraico così lo pose,: Hosanna barrama, cioè: Osanna nel più alto dei Cieli .
Le prime versioni nei manoscritti Arabi,Persiani,Siriaci testimoniano l’originale primato di Matteo nel linguaggio Ebraico.
Le note marginali di certi antichi manoscritti del Vangelo canonico di Matteo danno, in quel punto, la variante del racconto come si trova in un Vangelo chiamato Vangelo Giudaico (Ιουδαικον) l. Aurelio de Santos Otero scrive in una nota a pagina 46 del suo Los evangélios apócrifos:
Se encuentran añadidas como variantes a algunos códices cursivos griegos de San Mateo.... Se suponen ser obra de un recensor perteneciente al patriarcado de Antioquía entre 370 y 500.
Queste si trovano come varianti in certi codici corsivi Greci di San Matteo ….Si suppone che siano il lavoro di un editore legato al Patriarcato di Antiochia fra il 370 e il 500.

3 Considerazioni sulle referenze
L’esame di queste fonti mostra immediatamente che:
· Tutte le fonti parlano di linguaggio Ebraico e non Aramaico, quindi tutti quelli che parlano di un primo Vangelo in Aramaico, lo dicono solamente perche vi è la diffusa opinione che ,al tempo di Gesù, la popolazione della Giudea,della Galilea, della Samaria ecc non capisse più l’Ebraico ma parlasse solamente Aramaico. In effetti questa opinione non è del tutto esatta in quanto,ad esempio, nelle sinagoghe si leggeva la Legge in Ebraico ed i partecipanti bene o male capivano. Del resto tutti i manoscritti di Qumram sono scritti in Ebraico
· Quello che viene detto nelle referenze non lascia adito a dubbi, cioè si parla proprio di un Vangelo di Matteo scritto in Ebraico, divulgato prima della apparizione della versione in Greco che può essere stata tradotta da chiunque, oltre allo stesso Matteo. il quale, essendo stato un pubblicano in Galilea ,posto di grande scambi fra le culture Greca ed Ebraica specialmente nel commercio, doveva conoscere bene il Greco.
· Se una copia del Vangelo Ebraico di Matteo fu portata in India da Bartolomeo (Natanaele di Giovanni) ciò significa che il Vangelo Ebraico di Matteo fu certamente scritto nella prima decade dopo la morte di Gesù ( 7 aprile 30 CE oppure 3Aprile 33 CE).quindi può essere datato intorno al 40 CE Carsten Thiede recentemente ha riesaminato alcuni frammenti di manoscritto del Vangelo di Matteo in Greco e li ha ridatati ad un periodo compreso fra il 40 ed il 50 CE per un certo numero di ragioni . Per primo lo stile della scrittura era quella di scribi mai più usata posteriormente . Più interessante era che il nome di Gesù era scritto ΙΣ piuttosto che ΙΕΣΟΥΣ, cioè., 'G-S' piuttosto che 'Gesù', in una traslitterazione Italiana . Questo è simile alla pratica Giudea di scrivere Yahweh come YHVH, YH o YY. Ciò implica che l’autore di Matteo era un Giudeo di antica data che scriveva probabilmente primo del maggior influsso dei Gentili nella chiesa dopo Atti 11/15.
· Matteo è uno dei due Vangeli scritti da un Apostolo dei 12.Non si può pensare che uno che aveva udito Gesù in persona ed assistito ai suoi miracoli,possa aver ripreso fatti e detti da Marco che li riportava da Pietro, o da Luca che li riportava da Paolo .Ed è per questo che i fautori della priorità Marciana relegano Matteo in una data molto tarda e scritto da un Ebreo qualunque. L’esistenza del Matteo Ebraico ribadisce dunque la priorità di Matteo ed il fatto che, secondo Clemente Alessandrino, i primi Vangeli fossero quelli che avevano le Genealogie e che, dunque, Marco abbia ripreso da Pietro che predicava in Roma consultando i Vangeli di Matteo e di Luca, Ipotesi dei due Vangeli. Per la data della predicazione di Pietro in Roma dice Maria Sordi: “che la tradizione cristiana, presente in autorevoli fonti del II secolo (Papia di Gerapoli, Clemente di Alessandria, citati da Eusebio e Ireneo) collocava all'inizio del regno di Claudio (nel 42, secondo il «Chronicon» di Eusebio) e associava alla composizione, appunto, del Vangelo di Marco: quest'ultimo avrebbe scritto su richiesta degli stessi Romani, tra cui cavalieri e Cesariani (questa precisazione è nella traduzione latina di un frammento di Clemente) che avevano ascoltato la predicazione di Pietro e volevano "quae dicebantur memoriae commendare".Del resto il Vangelo di Luca,secondo la 2 Corinzi di Paolo,scritta nel 54 CE ,già circolava in tutte le chiese,apprezzato.dai,fratelli(2Corinzi8,18) Pietro deve essere andato a Roma dopo la liberazione dalla prigionia di Agrippa I e deve esserci stato fino al concilio di Gerusalemme del 49 CE per poi tornarci quando scrisse 1Pietro e rammenta Marco come suo figlio(1Pietro,5,13)Questa lettera attesta la sua presenza a Roma intorno al 62÷65 CE.
· Specialmente le testimonianze di Epifanio e di Gerolamo mostrano anche che i tre Vangeli in Ebraico e cioè :
Il Vangelo secondo gli Ebrei
Il Vangelo dei Nazorei
Il Vangelo degli Ebioniti
di cui ci restano solamente citazioni ,potrebbero essere stati una modifica del Vangelo Ebraico di Matteo con aggiunte o tagli e cambiamenti. Il patriarca di Costantinopoli Niceforo I (758-828), nella sua Sticometria (o Cronografia), riporta la lunghezza del Vangelo degli Ebrei, 2200 linee, 300 in meno di quelle del Vangelo di Matteo. Tale dato lascia supporre che, oltre alla parte iniziale, cioè la genealogia e gli episodi dell’infanzia, non fossero presenti altri ampi tagli
4 Conclusioni.
4.1 Da quanto detto sembra difficile negare che sia esistito un primo Vangelo di Matteo scritto in Ebraico intorno al 40 CE.
La posizione ufficiale della Chiesa cattolica è stata espressa dalla Pontificia Commissione biblica, che nel 1911 ha affermato che la lingua originale del Vangelo di Matteo era l'aramaico e che il Vangelo di Matteo greco canonico è sostanzialmente conforme al testo originale, che fu scritto da Matteo tra il 50 e il 60 d.C.

Inoltre, che si possa affermare l'esistenza di un Vangelo scritto in Ebraico dall'Apostolo Matteo,risulta non solo ,come abbiamo visto, dalle numerose testimonianze della Patristica; ma anche perché ci sono moltissimi indizi nel Matteo greco che fanno arguire che derivi da un precedente testo Ebraico essendone ,praticamente la traduzione. Tali indizi hanno,fra l’altro, indotto Jean Carmignac a fare la sua oramai famosa ipotesi sulla nascita dei Vangeli Sinottici: Questi indizi sono: 1.. presenza di parole semitiche; il fatto che esse sono più numerose nel Vangelo di Marco (una ventina) si spiega col fatto che Marco per primo ha attinto dall'originale Matteo Ebraico; 2.. uso della locuzione "Regno dei cieli" per trentadue volte e di quella "Regno di Dio" solo per cinque volte, perché gli ebrei cercavano di non nominare mai Dio; 3.. frequenza di termini come "denari" o "monete", che ricorrono ben ventidue volte (18, 24.28; 20, 9.10.13; 22, 19; 25, 15-18.20.22.24.25.27.28; 26, 15; 27, 3.5-7; 28, 15); Matteo era un esattore delle tasse e gli stessi termini ricorrono in Marco sei volte, in Luca sette volte, in Giovanni due volte; 4.. uso del numerale cardinale al posto dell'ordinale (22, 26; 28, 1); 5.. paratassi e coordinazione delle frasi (4, 25 - 5, 2; 8, 14s); 6.. uso di frasi parallele (6, 2-6.16-18; 7, 7-8.24-27; 10, 39; 13, 13-14.16-17; 18, 12-14); 7.. presenza di strofe con ritornelli (7, 24-27; 11, 21-24); 8.. disposizioni a gruppi di tre: gruppi genealogici (1, 12-17); apparizioni angeliche a Giuseppe (1, 20; 2, 13; 2, 19); tentazioni (4, 1-11); elemosina, preghiera e digiuno (6, 1-18); miracoli (8, 1-9, 8); preghiere al Getsemani (26, 36-44); rinnegamenti di Pietro (26, 69-75); 9.. disposizioni a gruppi di sette: richieste del Padre nostro (6, 9-13); demoni (12, 45); parabole (13, 1-50); invettive contro i farisei (23, 13-36).Per gli indizi dal terzo all'ottavo si tratta di usanze tipiche degli ebrei.Un altro indizio a favore dell'esistenza del Matteo Ebraico come già esistente negli anni 50-55, può essere considerato da un possibile collegamento con la Lettera di Paolo ai Galati: le persecuzioni dei cristiani da parte della sinagoga, cui si riferiscono Mt 10, 17 e Mt 23, 34 (persecuzioni di città in città) potrebbero essere quelle cui si riferiscono alcuni passi della Lettera ai Galati (Gal 1, 13; 5, 11; 6, 12); poiché la Lettera ai Galati è databile negli anni 53-55, questo potrebbe essere un indizio a favore della datazione del Matteo Ebraico ad anni prima del 53,.
4.2 Come è stato accennato nell’introduzione, George Howard. ha pubblicato, nel 1987 , un libro dal titolo The Gospel of Matthew According to a Primitive Hebrew Text, che valuta e traduce la sezione finale di un lavoro pubblicato da un certo medico Ebreo Shem-Tob ben-Isaac ben-Shaprut nel 1380 Questo Giudeo aveva pubblicato uno scritto polemico intitolato Even Bohan (ˆjwb ˆba, "La Pietra di Paragone") che consisteva di 17 sezioni di cui la dodicesima conteneva l’intero Vangelo di Matteo in Ebraico, insieme a commenti polemici dell’autore posti fra riga e riga
Howard presenta ,nel suo libro,una evidenza molto persuasive che questa copia del Vangelo in Ebraico sia una tarda recensione del primo Vangelo Ebraico di Matteo . Se questo fosse vero ,allora questo Vangelo non dovrebbe essere una semplice traduzione del Vangelo di Matteo Canonico ma un manoscritto derivato dal lavoro in Ebraico di Matteo. .
.Altre versioni in Ebraico del Vangelo di Matteo sono state conosciute dagli studiosi, da secoli . Spesso sono chiamate "Old Hebrew Matthew," Sebastian Münster produsse la prima edizione di un manoscritto nel 1537 (Münster 1537); nel 1555 Jean du Tillet pubblicò una simile versione ma leggermente differente, di manoscritto del Vangelo di Matteo in Ebraico (du Tillet 1555). Tuttavia, oltre a questi due ,esistono almeno cinque altri Vangeli di Matteo in Ebraico più o meno frammentari: (1) the Book of Nestor, (2) the Milhamot HaShem, (3) the Sepher Joseph Hamekane, (4) the Nizzahon Vetus.Nessuno di questi ha però avuto l’interesse del lavoro di Shem Tov o sono stati riconosciuti come il Vangelo Ebraico originale di Matteo.
In ultimo, alcuni dicono che Matteo abbia scritto due Vangeli,uno in Ebraico ed uno in Greco Questa tesi sembra plausibile in quanto ,dopo aver scritto un suo Vangelo per gli Ebrei, evidentemente con l’espandersi della fede Cristiana fra i Gentili ,questo oramai risultava pressoché inutile in quanto nessuno,fra i nuovi credenti, era capace di leggerlo,da qui l’edizione greca ,Questa potrebbe anche essere stata una delle ragioni della scomparsa dello stesso Vangelo Ebraico, in quanto la Chiesa non aveva più interesse a riprodurlo e allora,il Vangelo, fece la fine che,ad esempio, ha fatto anche la versione in aramaico della Guerra Giudaica di Giuseppe che è scomparsa mentre la sua versione Greca è arrivata sino a noi in numerosi manoscritti.


REFERENZE
Oltre quelle classiche riportate al punto 2
Howard, George 1987. The Gospel of Matthew according to a Primitive Hebrew Text. Macon, GA: Mercer University Press; Louvain: Peeters.
Howard, George 1995. Hebrew Gospel of Matthew. Macon, GA: Mercer University Press. [Revised edition of Howard 1987]
Howard, George 1997. "Re: P45 and SHEM-TOB's Hebrew Matthew." Post to TC-List electronic mailing list, 10 March; 8:38AM. URL: http://www.findmail.com/list/tc-list/1925.html.
Davies, W. D., Dale C. Allison. 1988-1997. A Critical and
Exegetical Commentary on the Gospel according to
Matthew. ICC. 3 volumes. Edinburgh: T. and T. Clark.

. Aurelio de Santos Otero Los Evangelios Apocrifos 1992